Ristoranti, cocktail bar e parchi di Milano ravvivano la scrittura creativa. Demenziale, si intende. Lasciarsi andare. Perdersi. Fare a brandelli ogni logica di consumo avveduto o di utilizzo razionale del tempo. Ecco l’effetto che fanno al mio tempo libero. E Milano libera energie immensurabili, con tutti i suoi nuovi locali, nuovi quartieri, nuovi territori di visione. E’ talmente elevata la quantità di cibo per gli occhi (da quando ero ragazzo, negli anni Settanta è aumentata esponenzialmente) che l’indigestione è massima.
Ruttino per digerire e via… partendo dal nuovissimo quartiere che s’impernia su Piazza Gae Aulenti – quello della fotografatissima Torre Unicredit – per “scendere” alla vitale via Padova, dove annualmente viene addirittura organizzato una sorta di festival, per raccontarla. Rotolando di bici in via Ventura, a Lambrate – dove scorrono i popoli del design per il Fuorisalone – e risalendo fino agli immarcescibili Navigli. Milano è una bellezza. Una città dalla quale non mi separerei facilmente.
Detto questo, Milano mi urla: “mister Tadini, non hai abbastanza tempo libero per godere tutto il lifestyle che ti propongo! Non sarai mica un milanese imbruttito? E io rispondo …
Cosa rispondo? C’è qui qualcuno che potrebbe aiutarmi con una risposta qualunque, anche da Baci Perugina, anche da citazioni prese online in tutta fretta, anche scandagliando un angoletto di memoria scolastica? Intanto porgo l’orecchio, sono tutt’occhi… e continuo a divorare tutta questa Milano / immagine che mi rimpinza come un’oca da allevamento con l’imbuto (sapete, vero, come fanno scoppiare il fegato alle oche per la produzione della prelibatezza culinaria?). … Mi reco in uno dei peggiori ristoranti di Milano, poi in uno dei più fighetti cocktail bar … e termino con un officinalissimo parco cittadino. Lì, nel verde, con la mia bicicletta al fianco, seduto su una di quelle meravigliose panchine vintage che non passano mai di moda, contemplo l’insieme delle cose. Attendo migliori illuminazioni.
Francesco Tadini
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