Teatro Franco Parenti: La deposizione di Emilio Tadini con Anna Nogara e la regia di Andrée Ruth Shammah per una messa in scena epocale. Einaudi pubblicò il libro nel 1997, nella collezione di teatro. Qui la recensione di Franco Quadri per il quotidiano la Repubblica del 16 aprile 1997.

Teatro Franco Parenti, Anna Nogara in La deposizione di Emilio Tadini per la messa in scena di Andrée Ruth Shammah nel 1997
Un titolo sacro da gran pala d’altare, magari dedicato a Testori. E invece no, La deposizione di Emilio Tadini ci conduce diritti in tribunale, dove una donna si deve discolpare dell’accusa d’aver ucciso sette ex amanti per impossessarsi dei loro averi. Una serial killer? Lei si autodefinisce «un mostro normalissimo», che per alimentare le inclinazioni della stampa si presta a venir catalogato “Madama Barbablù”. Può quindi rientrare negli schemi della favola e a questi intende riportarci la guida di Andrée Ruth Shammah, che l’ha commissionata, ribadendo l’ambiguità del titolo che ritorna in tutta la storia.
Le ultime parole pronunciate sono Qui tutto è finto tranne la passione; e le ritroviamo scritte, con la calligrafia usata da Valerio Adami nei suoi quadri, sulle pareti della nuova minisala aperta all’interno del Teatro Franco Parenti per iniziativa di Gian Maurizio Fercioni, attorno a bianchi pilastri, sopra la plastica che copre il pavimento, lasciando vedere altri locali da uno squarcio in un muro e da una porta, oltre alla gabbia che nell’andito ospita all’inizio e alla fine l’imputata – belva e un paio di agenti.
Ma il consesso che si ritrova assiepato su tre lati (a occhio un’ottantina di persone) potrebbe anche dare l’impressione d’un salotto.
La versione Einaudi e quella teatrale del testo di Emilio Tadini
In effetti, a differenza della versione pubblicata da Einaudi, “la deposizione” rappresentata non rientra più in un processo, ma consiste in una sorta di precedente prova generale da teatro, senz’altri referenti che gli spettatori giurati. L’eroina di Emilio Tadini ha così la possibilità di costruirsi un ritratto che, asserendo di mirare ai fatti, bada soprattutto alle opinioni. Mette in fila parole che resistono alla facilità dell’abbandono narrativo per disperdersi nei particolari compiaciuti: chiacchiere e vanterie montati per guadagnarsi il consenso dei giudici simulati.
Quest’altra doppiezza del testo trova una conferma nel fatto che, se le accuse sono solo indiziarie (sette ex amanti scomparsi) le figure dei presunti assassinati non si concretizzano nel racconto: sono tutte uguali nei comportamenti, evocate al plurale dalla «giustiziera-vittima», che se ne dice sfruttata sentimentalmente e abbandonata; parla di legittima difesa e l’eliminazione e gli «squartamenti» li propone come episodi
4 assurdi in termini da telenovela. Di conseguenza quando alla fine si presenta a chiedere la sentenza, la protagonista potrà essere indifferentemente assolta o condannata, ma anche rilasciata come affabulatrice mitomane da teatro.
Con Andrée Ruth Shammah come prima indagatrice di ogni suo gesto, lambendo le pareti e indagando a sua volta lo spazio da faina, mentre il musicista Michele Tadini la fa seguire da echi strascicati delle battute appena dette, Anna Nogara si dipinge addosso il personaggio con orgoglio e ansia masochista, e conferma, dopo il felice lavoro su Gadda dello scorso anno, di trovare veramente una propria dimensione ideale nell’ambiente ridotto. Si fa quindi carnefice e vittima per il suo pubblico, con una scioltezza di comunicazione che non dimentica mai l’autoironia ma sa toccare con asciuttezza il tragico di una mediocrità quotidiana; padroneggia con autorità l’ambiente e spia con silenzi avidi le reazioni individuali, lasciando via libera alla passione nella lotta con la finzione.