Gargantua e Pantagruel di François Rabelais, riassunto


Gargantua e Pantagruel

Gargantua e Pantagruel, 1542, capitolo 5

Riassunto di Gargantua e Pantagruel di François RabelaisGargantua è il nome di un gigante celebre nelle tradizioni popolari (in specie della valle del Rodano) per la sua voracità. Le sue prodezze erano narrate già all’inizio del 16º secolo, in libretti di carattere piuttosto semplice e rozzo: uno di essi fu rimaneggiato da François Rabelais (1494-1556), il quale ha poco a poco si innamorò dell’argomento e da quelle figure di giganti prese le mosse per il suo grandissimo romanzo (una serie di cinque romanzi) La vie de Gargantua et de Pantagruel. Il suo Gargantua, figlio di Grandgousier – re d’Utopia – e di Gargamelle (viene partorito da un orecchio!), è un gigante grottesco, bonario, docile a ogni impulso di natura, ribelle a ogni artificio, come a ogni ambizione dannosa.

In lui, e nel figlio Pantagruel, François Rabelais esprime appieno il suo essere a trecentosessanta gradi uomo del Rinascimento, il suo convinto naturalismo, ed è riuscito a esprimerlo con tanto maggior vigore, in quanto la sua tempra di artista aderiva con felice entusiasmo a tutto ciò che è concreto, immediato, senza escludere nulla di quanto appartiene all’umanità, anche il più elementare e materiale.

Gargantua e Pantagruel

Gargantua e Pantagruel, edizione italiana del 1900

Nella prima parte dell’opera, tra forme e colori vivaci e intensi, e giochi festosi di parole, Gargantua domina con un senso quasi primitivo del riso, come sfogo di una sanità e di un’energia esuberanti. Più istintivo e immediato di Pantagruel, nella creazione del quale problema è più consapevole e più attento al significato degli episodi e delle immagini, Gargantua forza di natura, ma di una natura sollevata dalla cecità dei primordi e capace di compiacersi di sé e della propria freschezza.

Le sue proporzioni, più che enormi, sono indefinite: talora smisurate, se un intero popolo può abitare nella sua bocca, talora “solamente” gigantesche, se con un ramoscello di salvia può pulirsi i denti; e questo stesso ondeggiare di proporzioni è nel suo spirito, ora ingenuamente fanciullesco, ora serenamente filosofico, ora allegramente feroce. Ma è, questa, la stessa apparente incoerenza della natura, i cui confini possono aprirsi all’infinito ora chiudersi in un piccolo mondo, e le cui energie possono essere benigne o crudeli. E, come per la natura, alla di sotto di questa balda inconsistenza vi sono in Gargantua un unico, continuo e felice senso di vita, una genuina e incorruttibile innocenza. Così creato, il personaggio acquista tuttavia una più precisa umanità nel prosieguo del libro, imponendosi come la figura del re bonario e saggio pur nel suo immenso vigore, che sconfigge il maligno assalitore Picrochole e sa così allegramente punirlo. E quando viene poi a predominare nell’opera la figura del figlio Pantagruel, Gargantua, il gigante semplice e buono, si ritrae un po’ nell’ombra, assume la parte del padre ignorante ma saggio ed esperto il quale, in un’epoca nuova, compreso i benefici di quella cultura che egli non poté avere, li raccomanda al figlio in una lettera rimasta famosa. Onde lo stesso personaggio si precisa, e acquista nel complesso più ricco significato.

Egli è pur sempre una potente formazione di in composto e fecondo naturalismo; ma di un naturalismo che nel suo buon senso già sa intravedere la possibile perfezione delle sue ancora ineducate facoltà, il nuovo mondo che da esso potrà e dovrà nascere.